Letteratura migrante

LA RAZIONALITA' DEL BENE

Ieri il Prefetto di Chieti Antonio Corona è intervenuto durante l'insediamento del Consiglio Comunale di San Salvo. È venuto perché tirato in ballo a più riprese nei giorni passati per via del nuovo centro di accoglienza che sta per aprirsi in Piana Sant'Angelo.

 

Sapevamo tutti quello che aveva da dire, anche per questo è stato ascoltato in religioso silenzio, con mugugni da parte del pubblico appena percettibili solo da chi era in sala tra gli spettatori.

E infatti quello che ha detto è che i migranti verranno a San Salvo perché lui ha deciso così. Non perché è cattivo o perché si diverte, ma perché qui ha trovato strutture ricettive "a meno che non si vogliano mettere su delle tendopoli".

Quindi il messaggio è molto chiaro: il Prefetto segue le direttive nazionali che gli impongono di distribuire i migranti sul territorio provinciale con criterio e buon senso; lui interpella i vari sindaci per chiedere la loro disponibilità ad ospitare. Maggiore è il numero dei sindaci che risponde, minore sarà la densità dei vari centri, e ovviamente i centri più scarsamente popolati sono più facili da gestire e controllare di quelli più numerosi. Se i sindaci non rispondono affatto o peggio si oppongono all'accoglienza (come nel caso di San Salvo) il Prefetto andrà avanti per la propria strada, coinvolgendo nell'operazione strutture private e cooperative.

Le rimostranze del governo della città sono legittime, ma non sono logiche, a mio parere, né razionali. Ad esempio è difficile descrivere San Salvo come città "a vocazione turistica", quando in tutta la marina ci sarà forse un albergo, e il resto delle persone che passano l'estate da noi possono considerarsi turisti per puro accidente, per aver comprato un appartamento molti anni fa, o per avere qui dei parenti. Il turismo, quello che porta ricchezza e sviluppo, è un'altra cosa e certo non abita qui.

Per quanto riguarda la situazione di "drammaticità" in cui verserebbe San Salvo a causa della presenza di migranti, rivedrei in generale l'uso (e l'abuso) del termine "drammatico" e la sua applicabilità al nostro caso. Ognuno poi tragga le sue conclusioni.

Quindi, a livello comunale, oltre alla propaganda e alle minacce, nulla. E lo sapevamo. Può infatti una comunità opporsi razionalmente a delle linee di politica internazionale? Esiste a livello locale un serio progetto alternativo che non sia il solito vago e inattuabile "A casa loro"?

Ma stabilito che l'arrivo dei migranti è inevitabile, la domanda è: esiste un modo "giusto" per accoglierli? Un modo che danneggi il meno possibile le nostre comunità e che contemporaneamente possa fornire a loro un'esistenza dignitosa?

Secondo me i due risultati sono strettamente collegati.

Mi spiego meglio.

La paura che molti hanno è che la presenza di così tanti giovani drammaticamente poveri sul territorio potrebbe favorire dei fenomeni di sfruttamento del lavoro o addirittura di caporalato da parte di gruppi organizzati.

Questo è un sospetto che è sorto in qualcuno soprattutto in seguito all'incidente in cui un povero ragazzo africano ha perso la vita mentre si trovava alla guida della sua bicicletta presso dei campi alle prime ore del mattino. Seppure non ci siano notizie di reato, la circostanza ha suscitato qualche dubbio sul perché proprio lì e proprio a quell'ora.

Reputiamo quindi possibile che tali episodi possano accadere, e siamo consapevoli che la gravità sarebbe estrema. Ma sappiamo anche che arginare queste derive è possibile e va fatto soprattutto con un serio impegno di integrazione e di inclusione sociale

Siamo noi con le nostre azioni a decidere se farli finire in pasto agli sfruttatori ed ai caporali oppure metterli al sicuro, insegnargli l'italiano, metterli in guardia da un mondo pieno di pericoli sconosciuti.

Proteggere loro vuol dire proteggere noi stessi. Non possiamo disinteressarci del destino di persone che si trovano a vivere così vicino a noi e poi indignarci se ad integrazione fallita ci troviamo con dei disadattati potenziali delinquenti, quando sarebbe bastato una nostra mano tesa o anche solo una nostra migliore disposizione d'animo perché le cose andassero meglio.

Credo che questa potrebbe essere una bella sfida per un bravo amministratore: fare di necessità virtù e stabilire delle procedure e dei percorsi attraverso i quali persone arrivate con mezzi di fortuna e senza speranze intraprendano il difficile cammino per diventare cittadini dell'Occidente, liberi e consapevoli. Senza contare che potrebbe svolgere questo ruolo assumendo e facendo lavorare personale specializzato, insegnanti e mediatori culturali, dando vita ad un intero settore di servizi professionali.

Al contrario, respingerli come esseri inferiori, incompatibili col nostro modello di vita ed il nostro affetto, può esser non solo crudele ma pericoloso. Non farebbe che accrescere quella zona grigia in cui si cade quando non hai diritti, non sai che sei e dove andare. È quello che succede perfino in alcuni centri di accoglienza, soprattutto quelli più grandi, dove i controlli diventano difficili per il gran numero dei migranti e si trasformano in centri di smistamento del lavoro nero e dello sfruttamento.

Se non vogliamo salvare loro, almeno salviamo noi stessi. A meno che la denuncia del "business" dei centri di accoglienza (come lo ha chiamato la novella Casa Pound di San Salvo) non sia solo un tentativo maldestro di camuffare un più genuino razzismo. Dite la verità, se fossero liberi, avessero un lavoro e vivessero fuori dalle strutture di accoglienza pagando regolari affitti, i vostri problemi con loro sarebbero risolti?

Siete sicuri che sia solo il "business" a darvi fastidio e non il piede dello Straniero sulla vostra terra?

E fino a che punto si può combattere una battaglia irrazionale e illogica, ancorché popolare? Non vi chiedo fin dove si spingono le vostre ulteriori iniziative, perché la risposta non voglio saperla.

Silvia Di Virgilio