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Geostoria e didattica degli archivi. Un corso di aggiornamento per docenti

Per un corso di aggiornamento destinato ai docenti organizzato dalla sezione di Italia Nostra del Vastese mi è stato chiesto di affrontare il tema dell’archivio per un equivalente in termini orari di un 1 CFU.

Ho risposto ben volentieri all’invito, non senza però sottolineare un aspetto. Di non parlare di archivio tout court, bensì di didattica dell’archivio (relativa a una specifica tipologia di archivio: comunale). Di discutere del suo uso come strumento di conoscenza di spazi fisici in se stessi coerenti. Di non utilizzare termini come territorio o luogo. Lemmi che implicano nozioni cariche di significato. L’uno, un’area sottoposta a giurisdizione attuale ben definita (corrispondente, in qualche modo, a una segnatura di tipo geopolitico). L’altro, un sito ricco di sollecitazioni culturali o emotive (per esempio, un cimitero antico come quello di Vasto che, da quattro anni, la sezione pone all’attenzione di un pubblico interessato). Di riferirmi, cioè, a quel dispositivo di conservazione in ragione della sua capacità di documentare spazi fisici tout court. In effetti, proprio in rapporto a questi ultimi, tornerà utile parlare di superfici apparentemente «naturali» che, proprio per il loro sussistere, sanno porre interrogativi di conoscenza. Che cosa implica tale precisazione? Presto detto. Che il laboratorio didattico dovrà partire dall’identificazione di alcune aree specifiche, senza alcuna determinazione precedente (vale a dire, senza alcun pregiudiziale amministrativa o culturale), per ritrovare in esse, attraverso la documentazione di archivio, ciò che si è venuto sedimentando nel corso di una «lunga durata» storica. Con una puntualizzazione: che solo all’interno della fisicità del suolo diventa possibile cogliere la successione temporale in essa avvicendatasi. Non il contrario. E che, proprio in tale prospettiva, la documentazione archivistica (sia essa comunale che relativa ai grandi codici diplomatici a stampa) diventa uno (ma non il solo) degli strumenti fondamentali per accedere alla comprensione storica dell’area indagata.

Provo a fare qualche esempio movendo da un’affermazione in apparenza perentoria: non si può fare la storia di una città, di un paese, di un luogo fissandola, dal punto di vista geopolitico, entro i fines attuali. Va ricordato, infatti, che, in Italia meridionale, il Comune (così come lo conosciamo oggi) viene istituito nel periodo francese con Legge 8 agosto 1806, n. 132 perfezionata con Legge 16 ottobre 1809, n. 489. Stando così le cose, come dobbiamo intendere le communitates prima di tale data, quando erano le universitates che organizzavano le comunità sulla base dell’esercizio della giustizia e non con i criteri amministrativi odierni? Il che vuol dire: come dobbiamo interpretare la storia delle stesse località quando nel 1799, in data 5 marzo, viene istituito il Cantone della municipalità del Vasto comprendente ben 15 universitates: Vasto, Monteodorisio, Cupello, Lentella, Gissi, S. Buono, Palmoli, Dogliola, Fresagrandinaria, S. Salvo, Carunchio, Montenero di Bisaccia, Tavenna? I paesi devono essere considerati singolarmente oppure parti di un’area? Non solo. Ma dato che, a quella data, Montenero era posta in Capitanata e non in Contado di Molise, come dovremmo pensare la storia di quel paese, foggiana o molisana? E poi, tanto per rimanere sullo stesso tema, con quali problemi dovremmo fare i conti qualora volessimo misurarci con il mondo romano nel periodo di passaggio tra Repubblica, Principato e Impero? Da questo punto di vista, l’esempio più interessante proviene – forse – da un’area dell’attuale territorio di Palmoli. Parlo di località Santo Ianni. Qui, nell’agosto 1853, in una proprietà di Nicola D’Aloisio, veniva rinvenuta l’epigrafe classificata da Theodor Mommsen CIL IX, 2959 e dedicata a un decurione degli istoniensi (oggi conservata nel Museo archeologico di Vasto). Ciò implica che tale sito doveva essere parte del Municipium histoniensium. In quel periodo, Santo Ianni di Palmoli va considerato come limes della iurisdictio municipalis histoniensis rispetto alla iurisdictio municipalis tereventina e che nulla ha da dividere con il comune che, al contrario, sarebbe sorto centinaia e centinaia di secoli più tardi. Ecco la ragione per cui dobbiamo partire dalla fisicità dei luoghi. Rileggere, cioè, le superfici terrestri secondo le modificazioni geopolitiche che hanno subito nel tempo e considerarle nei rapporti di potere in cui sono state inscritte. Nello stesso tempo, tenere conto della discontinuità, delle dinamiche territoriali e della fortissima variabilità che le hanno caratterizzate. Va da sé – e si capisce bene – come fonti archeologiche e fonti archivistiche concorrano a restituire una coerente interpretazione di «lunga durata» del sito. Ma, come già detto in precedenza, il nostro corso resterà saldamente ancorato all’archivio.

Questo tipo di approccio allo studio della terra (e anche del mare), un grande storico come Fernand Braudel lo avrebbe definito geostorico. Geostorico perché, proprio a partire da quanto aveva sostenuto Karl Haushofer, un importante teorico novecentesco di geopolitica – vale a dire, «lo spazio è più importante del tempo» –, è nella fisicità degli spazi che vanno trovati gli effetti prodotti dagli eventi in essa succedutisi. Pratica geostorica, dunque, è quella che ha nella superficie terrestre la chiave di lettura delle carte d’archivio e che trasforma la terra in territorio. Il tutto con un  radicale mutamento di paradigma di ricerca: dallo spazio all’archivio e non il contrario.

Il lavoro è molto stimolante. Si tratta solo di cominciare. 

Luigi Murolo

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