Editoriali

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L’ omicidio di Vasto tra l'aspetto individuale e le implicazioni sociali

VASTO | L’omicidio di Italo D’ Elisa, commesso da Fabio Di Lello, è collegato all’incidente stradale mortale, in cui nel luglio scorso perse la vita Roberta Smargiassi,

moglie di Di Lello. E’ evidente che quest’ultimo abbia operato una sorta di vendetta o di giustizia “fai da te” verso il colpevole della morte della consorte. Prova ne è il deposito dell’arma del delitto sulla tomba di Roberta, peraltro meta quotidiana delle sue visite. Le motivazioni che hanno indotto Di Lello a commettere l’insano gesto sono (o possono essere) materia di studio e riflessione di psicologi, sociologi e criminologi. Del resto la più nota criminologa italiana è già pubblicamente intervenuta. Preliminarmente ritengo che si sia trattato di un gesto individuale legato al rancore e ad una sorta di sindrome ossessiva scatenata dal trauma subito e dalla scarsa o inesistente elaborazione del lutto. “Giustizia per Roberta”, oltre che richiesta legittima di un coniuge addolorato e traumatizzato, era anche diventato il tarlo attorno a cui ruotava l’esistenza dello stesso dopo l’incidente mortale. Prova ne sono l’immagine del suo profilo facebook, identificazione e personificazione della richiesta di giustizia, le locandine e gli striscioni sparsi in tutta la città, attestanti la trasformazione dell’ossessione in sindrome ossessiva, esplosa con i quattro colpi di pistola sparati a freddo. Un omicidio pianificato da Di Lello, che aveva seguito la sua vittima, per conoscerne le abitudini. Azioni fatte lucidamente, sia pure in preda alla sindrome sopra ricordata. Si tratta di un fatto individuale, che segue un trauma generato a sua volta da un comportamento altrettanto individuale nella guida spericolata dell’ auto in pieno centro urbano. Ma se questo dramma fosse stato esclusivamente individuale o, comunque, solo di tre famiglie potrebbe essere derubricato in un ordinario fatto di cronaca, per quanto tragico e doloroso. In realtà, esso va assumendo anche aspetti sociali e sociologici, che pure vale la pena di osservare. Infatti, non è più solo un episodio di cronaca, originato da un gesto individuale, nel momento in cui varca le cronache locali ed occupa le prime pagine di (quasi) tutti i giornali e telegiornali nazionali, con il rischio emulazione Non è più solo un episodio di cronaca, originato da un gesto individuale, nel momento in cui “spopola” su facebook, che diventa il terreno moderno degli innocentisti e colpevolisti digitali. Non è più solo un episodio di cronaca, originato da un gesto individuale, nel momento in cui i vertici della magistratura vastese (presidente del Tribunale e procuratore della Repubblica) sentono la necessità di emettere un fermissimo comunicato con cui fanno sapere che l’episodio non è attribuibile alla lentezza della giustizia italiana.

Ma allora questo omicidio è un fatto individuale o sociale ? Può essere considerato essenzialmente fatto individuale legato al trauma subito da un uomo che ha perso violentemente e improvvisamente la persona (bella e solare) con cui aveva progettato di farsi una famiglia e passare il resto della propria esistenza. In tal caso ad armare la mano di Di Lello è stata la ricordata ossessione, ma non può escludersi che il gesto sia stato incoraggiato dal sostegno a vario titolo ricevuto, soprattutto sui social, da coloro che, insieme al reo, chiedevano giustizia. E quindi bisognerebbe chiedersi se l’omicidio sarebbe stato commesso prima della nascita di facebook nel 2004, così come bisognerebbe chiedersi se l’omicidio sarebbe stato commesso se la giustizia fosse stata più celere di come è stata. Queste risposte non le avremo mai in modo dirimente, perché ogni nostro gesto, per quanto individuale possa essere, ha comunque legami ed implicazioni sociali e viceversa. Ma pur ammettendo, in via ipotetica, che l’ossessione e la conseguente sindrome avessero potuto avere un esito diverso se non ci fossero stati i social e se la giustizia fosse stata più veloce, va ricordato che non è possibile eliminare i social e men che meno velocizzare le procedure di un’inchiesta (almeno stando a quanto viene scritto dal Tribunale e dalla Procura). Né è possibile eliminare il carattere di un uomo, che si forma nell’ambiente e con l’ambiente. E’ possibile, però, costruire un’ ambiente diverso, migliore di questo, come forse ci chiede una simile tragedia individuale, ma con innesti oggettivamente sociali.

Riflettiamo di più prima di agire…da avvocati o da magistrati, da amici nella vita o da amici su facebook, da autisti o da parenti di vittime della strada. Riflettiamo, perché ogni nostra azione individuale ha implicazioni sociali e riflettiamo, perché ogni nostra azione sociale ha effetti individuali. Proviamo a mettere in campo tutte le nostre risorse per sostenere il disagio, poiché non c’è dubbio che Di Lello abbia trascorso sette mesi di disagio e non c’è dubbio che altrettanto disagio lo stiano vivendo adesso i congiunti di D’Elisa. Chiediamoci: siamo attrezzati per rapportarci verso chi soffre nel modo più giusto ? Forse no, perché in drammi di questo tipo, il vero deficit sociale è proprio il cattivo rapporto individuale che noi tutti abbiamo con l’altrui disagio.

Orazio Di Stefano

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Commenti   

0 #1 Arturo Cauli 2017-02-03 10:34
Bravo Orazio , hai fatto una ottima analisi dell'accaduto . Complimentoni.
Aggiungerei ,se mi permetti , che la mano di Fabio è stata armata anche da quella brutta politica scioccamente giustizialista portata avanti dall'estrema destra e da Salvini che invoca continuamente la gogna e la vendetta .

Da anni alcuni servizi giornalistici dei media privati e radio alimentano l'odio verso le minoranze ,i diversi , gli stranieri ( Radio 24 ,Rete 4, Canale 5 etc.)
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