Editoriali

pierluigi bersani enrico rossi roberto speranza

Il fiume risponde sempre alla sorgente

Lo diceva Pietro Nenni.Lo ha ripetuto Bobo Craxi in questi giorni a commento dell’ultima scissione del Pd: il fiume risponde sempre alla sorgente. Per Speranza, Rossi, D’Alema, Bersani, Epifani,

Errani la sorgente è la storia del movimento operaio italiano, iniziato con la fondazione del Psi nel 1892, che ventinove anni dopo si è bipartito con i cosiddetti partiti storici della sinistra italiana: lo stesso Psi e il Pci. I quali hanno fatto insieme: la lotta al fascismo; la battaglia per la repubblica; la Costituzione italiana; il fronte popolare (perdente) nel ’48; le battaglie della Cgil (tranne quella sul referendum della scale mobile); la difesa delle leggi che hanno cambiato il Paese: Regioni, statuto dei lavoratori, divorzio, aborto; la politica estera filoaraba; le politiche riformiste nelle Giunte rosse. Tutto questo anche se negli anni ottanta e novanta del secolo scorso questi due partiti hanno avuto momenti di divisione e scontri anche duri. Ma non c’è dubbio che essi rispondessero alla stessa sorgente, originata per difendere (nelle lotte alla fine dell’800, nelle Istituzioni prima e dopo la clandestinità fascista) le ragioni dei più deboli. Dal 1992 in poi l’identità del movimento operaio è stata messa a disposizione di un progetto di coalizione, prima di soli progressisti (’94) e poi (dal ’96 in poi) anche della ex sinistra democristiana. Benché quest’ultima avesse avuto un’altra sorgente (quella del cattolicesimo democratico) la coalizione ha retto, anche perché dal ‘63 prima i soli socialisti e poi anche i comunisti avevano avuto esperienze riuscite e durature di governo e collaborazione parlamentare con quell’area. I problemi sono nati quando da un’ esperienza di coalizione si è voluto passare ad un partito unico: il Pd, in cui “la cosa” non ha funzionato ed ha preso la china che tutti abbiamo visto con la segreteria Renzi. Il quale fin dall’inizio ha avuto strenuamente contro l’area che aveva sconfitto e defenestrato, anzi rottamato. E non solo i dirigenti, come era naturale, ma soprattutto gli elettori dell’altra sorgente: la prova sta nell’abbandono in massa delle urne emiliano-romagnole, che alle ultime regionali registrarono il 37,71%, contro il 68% delle precedenti elezioni. Dato paradigmatico questo per capire che gli elettori di provenienza e formazione di sinistra avevano disertato quel voto. Successivamente l’ abbandono della politica renziana da parte degli elettori di sinistra si sarebbe confermato anche (e soprattutto) nel referendum costituzionale con la plebiscitaria vittoria del “no”. Qui non stiamo a stabilire se avesse ragione Renzi o chi gli si contrapponeva. Ma rileviamo semplicemente che il nuovo segretario del Pd non è stato mai riconosciuto come leader dalla sinistra. E – diciamolo francamente – neanche Renzi ha mai riconosciuto quella sorgente. Si pensi che Franceschini inaugurò la sua segreteria (ad interim) del Pd giurando sulla Costituzione col padre partigiano al suo fianco. Lo stesso Berlusconi, per tentare di farsi legittimare dal movimento costituzionale, aveva indossato un fazzoletto dell’ Anpi ad Onna il 25 aprile del 2009. Renzi, invece, si è sempre tenuto distante da quella storia e, soprattutto, dalla Cgil. Se a D’ Alema premier si rimproverava di non dire cose di sinistra, a Renzi addirittura di non pensarle. Ora i Democratici e Progressisti, che vengono da quella sorgente, devono misurarsi con essa ed attingere a quell’acqua per raccogliere il potenziale elettorale che hanno e che è notevole, se alcuni sondaggisti li danno addirittura al 10%. La vera scommessa è andare oltre l’elettorato operaio e del ceto medio sofferente. Non a caso Roberto Speranza, nella sua prima dichiarazione, ha parlato degli insegnanti delusi e dei disoccupati. Ma è chiaro che Renzi non starà a guardare ed ha già dimostrato di voler presidiare elettoralmente l’area elettorale che gli contendono i fuoriusciti. Infatti, ha messo in campo per la sua tenuta Piero Fassino e Walter Veltroni, che pure furono segretari del Diesse. Comunque andrà, la battaglia a sinistra, è oramai chiaro che il risultato referendario aveva dato una botta durissima alla vocazione maggioritaria del Pd renziano. Inoltre, qualunque sarà il peso del Dp (3,5% o 10%), esso caso avrà la funzione politico elettorale di abbassare l’ambizione del Pd di arrivare primo o comunque di conquistare una grande maggioranza. Renzi, nel prossimo Parlamento, sarà a capo di una delle tante forze e dovrà imparare a dialogare per costruire una maggioranza. Il consultellum ci darà partiti che dovranno sedersi con gli altri e trovare soluzioni condivise, come è avvenuto dal 1946 al 1992 e come D’ Alema e Bersani sanno (fare) bene, perché vengono da una sorgente di sinistra, ma democratica. Forse è definitivamente finita l’ubriacatura fintomaggioritaria di questi ultimi cinque lustri.

Ods

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