Editoriali

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Coronavirus: il tempo delle poesie

In questo tempo, in cui siamo obbligati a stare a casa, ciascuno di noi il tempo lo passa secondo indole e bisogni (fisici e sperituali).

C' è chi sistema gli armadi ed il guardaroba, chi pittura le ringhiere e le porte, chi rassetta gli indumenti scuciti e strappati, chi fa i dolci e le pizze, chi si dedica a leggere i libri e vedere i film, chi passa il tempo su internet e sui social.

E c' è anche chi scrive poesie, come il poeta Emiliano Longhi, chietino di adozione e fresano di nascita, che, durante, la quarantena ne ha scritte due.

Una poesia è del 27 marzo e si chiama "Primavera del contagio" ed un' altra è del 10 aprile, chiamata "La settimana santa".

La prima prosa il presente e la seconda il passato.

La prima descrive un triste ed inusuale inizio di primavera e contiene termini come scontento, lacrime, sterminatore, spietata caccia, però si chiude con un auspicio che è speranza, anzi certezza: "La morte non si vince, il Virus, su!"

La stessa speranza che si trova nella seconda poesia, con cui Longhi racconta "La Settimana santa", patrimonio storico - sacrale, antropologo-religioso, rimembrando ritualità antiche e moderne, scritte suggestivamente in italiano e dialetto ed attinte nei ricordi di bambino, anzi di chierichetto.

Forse è proprio in quella memoria, in quella lontana formazione cristiana, che l'autore trova la forza per dire che il virus si vince...
come la gioia della resurrezione vinse (e vince ogni anno) il dolore della Settimana di passione.

Orazio Di Stefano

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