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D'Alfonso ci prova ancora: il golpe bianco sul voto alla Regione

Già quando si discuteva della candidatura di D’Alfonso per un seggio parlamentare, il futuro presidente-senatore aveva preconizzato - dichiarandolo pubblicamente - che le elezioni regionali si sarebbero tenute nel 2019. All'epoca appariva inverosimile

questa fuga in avanti, a fronte di una legge che  prevedeva il voto entro 90 giorni dallo scioglimento del Consiglio.

Fatto sta che, dopo la sua elezione, ha cominciato un balletto di stop e go - vado a Roma, ma forse rimango in Abruzzo - utile a guadagnare tempo prezioso e soprattutto a dare corpo alla sua dichiarata preveggenza.

Ma quando ci si è resi conto che la sceneggiata da sola non bastava, si è passati al piano B: un colpo di coda che, con la modifica della legge elettorale, ha tentato di perfezionare il voluto slittamento delle elezioni. Una legge con evidenti elementi di illegittimità (che poi vedremo) e che porta da 7 a 45 giorni il termine per rimuovere le cause di ineleggibilità. Uno spostamento che, secondo un parere degli uffici della Regione potrebbe comportare l’impossibilità di votare prima del 19 dicembre 2018.

Se questo fosse vero - e non lo è - la data più lontana (a questo punto nel 2019) sarebbe il frutto del combinato disposto della sceneggiata di D’Alfonso, che è rimasto per 6 mesi ubiquitario, e della immediata e successiva legge ad hoc che, a maggioranza, il Consiglio Regionale si è data pochi giorni prima del suo scioglimento, per procrastinare l’esistenza in vita di una assemblea di fatto inattiva pagata dagli abruzzesi.

Ci troveremmo, insomma, in presenza di un tentativo di golpe bianco che prova a superare con una legge ordinaria confezionata l’ultimo giorno, sentenze della Consulta e Statuto della Regione Abruzzo, che indicano con chiarezza il termine per il voto entro i 90 giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale.

E’ opportuno, a questo punto, ricordare che ciò comporterebbe un anno senza governo: è la somma dei magheggi dell’affabulatore di Manoppello, che procrastina di 6 mesi le dimissioni, e di una legge licenziata da una commissione di scopo (e deputata a rivedere la normativa elettorale) per lungo tempo inattiva, ma retribuita per 4 anni e mezzo. Una commissione che delibera solo un giorno, l’ultimo, dei 1542 a disposizione.

E poi c'è il  Consiglio, che approva nell’ultima seduta prima dello scioglimento, la modifica con legge ordinaria (sic!) dello Statuto della Regione Abruzzo (tra consiglieri e assessori lo statuto prevede che al somma degli stessi sia 31, oggi invece arrivano a 36). Il risultato, anche qui, è quello di mantenere in vita un organismo sciolto ad agosto 2018, facendolo rimanere in carica (retribuito) fino al 2019. Gli abruzzesi vogliono sperare che, ora, ci sia una decisione in linea con le sentenze della Corte Costituzionale e dello Statuto, perché è giusto credere ancora che - come a Berlino - anche a L’Aquila ci sia un giudice. E che la politica torni ad essere credibile.

Lega Abruzzo

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