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“Io, il Coronavirus e la paura di aver contagiato i miei cari”. Si racconta il giovane curato a Chieti e guarito

Lui ha trent’anni, appena compiuti e un lavoro che gli dà molte soddisfazioni.  Così giovane e già con un’esperienza forte da raccontare: contagiato dal Coronavirus e guarito grazie alla terapia

sperimentale utilizzata a Chieti dalla Clinica di Malattie infettive. Lo chiameremo Marco, perché non è il suo nome che ci interessa, ma il racconto di quello che ha vissuto.

«Ancora adesso non so dove, come e quando ho contratto il virus - dice ripercorrendo le ultime settimane - per quanto abbia cercato di darmi delle risposte. E’ accaduto e basta, e farsi domande oltre un certo limite non era d’aiuto». E’ stato sempre informato e consapevole della patologia e della scelta del responsabile della Clinica, Jacopo Vecchiet, di curarlo con il Tocilizumab, farmaco già impiegato nella cura dell’artrite reumatoide e in grado di ridurre l’infiammazione che causa danni agli organi. Ha dato il consenso ed è iniziato il percorso. Coltivando dentro di sé la speranza di poter voltare pagina presto e tornare agli affetti ai quali, durante la degenza, ha continuato a pensare con tanta preoccupazione. 

«Quando sei lì hai paura non solo per te - aggiunge Marco - ma per quelli che sono a casa e temi di avere contagiato. Mi tormentava il pensiero di essere causa di sofferenza per le persone che amo di più e che mai avrei voluto mettere in pericolo».

Tante le emozioni provate in un reparto nel quale si è isolati e i contatti con il mondo di fuori sono pochissimi: il senso di solitudine, l’angoscia lo hanno accompagnato a lungo, ma poi è prevalso il senso della realtà che certo non gli fa difetto: l’importante era mettere al sicuro la salute, a costo di qualunque sacrificio, e in quel reparto lui si è sentito sempre protetto. La sensazione era di trovarsi nel posto giusto, in mani sicure. 

«Arriva un momento nel quale pensi a una sola cosa - ricorda Marco -: devi migliorare la tua condizione, vale solo quello». Non è facile tenere il filo dei ricordi, metterli in ordine, condividerli e magari non c’è nemmeno una gran voglia di tenerli vivi, con tutta la sofferenza che hanno generato. Però un segno forte lo hanno lasciato: «La mia vita è cambiata sicuramente - confida -, queste sono situazioni che fanno riflettere e io di tempo per pensare ne ho avuto in ospedale. E sì, sono cambiato eccome. Ognuno dovrebbe apprendere qualcosa da questi giorni, perché è la vita di tutti a essere cambiata”. 

Mentre Marco cerca la sua nuova quotidianità, al riparo nella sua casa, altri in isolamento combattono la sua stessa battaglia. E ce la possono fare, come lui.

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