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La grande distribuzione organizzata e’ un modello da superare

La grande distribuzione in questi anni ha contribuito a creare un consumatore alienato, sfrenato e che spesso consuma prodotti di scarsa qualità, distruggendo la sua salute, oltre che l'economia reale delle piccole e medie imprese.

 

Le sue aziende multinazionali non hanno, peraltro, nessun legame con il territorio, di cui distruggono l’economia esistente, entrando esse stesse in crisi. Una crisi che  riguarda tutto il mondo occidentale consumistico. Sia a livello europeo che nazionale  la cronaca quotidiana evidenzia che i grossi centri commerciali spesso riciclano denaro  di dubbia provenienza. Come per i Bit Coins non c’è trasparenza nella provenienza dei capitali e si parla del denaro dell’economia sommersa e criminale.

Negli  USA  sette catene della grande distribuzione hanno chiuso i battenti. In Europa si vive la stessa situazione: la TESCO, che è la più' grande catena inglese  con 310 mila dipendenti,  ha visto scendere la sua quotazione in borsa  da 214,3 nel 2015 a 202,5 nel Febbraio 2018  e deve rispondere in un'azione legale per discriminazione del genere  femminile: è in ballo  un risarcimento a 200mila dipendenti, pari a 4,5 miliardi di Euro.

Inoltre, non si capisce perché in Italia si continua  ad  investire  sul modello dei Centri Commerciali anche se il margine di utile in questa attività, è passata da +1,4% nel 2006 a -05% nel 2014.

I discount della grande distribuzione organizzata aprono continuamente e soprattutto nelle periferie abbandonate delle grandi città  e nei centri urbani: a Chieti si discute dell’apertura di Megalò due.

.Assistiamo tutti i giorni a manifestazioni  contro l'apertura di centri Commerciali da parte di operatori della piccola e media impresa, di cittadini , ambientalisti ed istituzioni locali, eppure uesti centri hanno sempre le autorizzazioni e aprono continuamente.

Una domanda viene spontanea: ma  dove  prendono i soldi ? E  perché continuano ad investire in un settore in crisi?

Una plausibile risposta può essere ricercata nel fatto che i loro prodotti,  acquistati dalle grandi catene, provengono dall’estero e sono meno costosi rispetto a quelli delle aziende italiane, le quali  devono rispettare disciplinari di produzione molto rigidi, oltre che le norme che tutelano ambiente e  diritti dei lavoratori. Basti vedere come nell'ambito della produzione biologica ad un aumento delle vendite (con percentuali a due cifre) sia corrisposta una diminuzione dei ricavi dei produttori italiani, proprio a causa dell'importazione di prodotti dall'estero e dell'interesse sempre più marcato della grande distribuzione per questo settore.  

Infine, i lavoratori della grande distribuzione spesso sono giovani con contratti precari o stagionali a 2 -3 euro ad ora, che lavorano anche nei giorni festivi.

Possiamo concludere, affermando che il  denaro che viene investito in questo settore non crea  ricchezza al territorio e tanto meno occupazione: serve solo a tenere sotto controllo il consumatore e distruggere l’economia delle piccole e medie imprese. Si tratta di un modello superato, che mira alla mercificazione, agendo sul tempo libero e sugli stili di vita.

E’ quindi urgente potenziare e creare i canali alternativi, come i punti di vendita  organizzati direttamente dai produttori, senza intermediari, in modo da avere un prezzo più basso a fronte di prodotti di migliore qualità e di stagione. Le modalità di vendita vanno dall’e-commerce alla creazione di consorzi e  mercati, in cui i produttori possano vendere i loro prodotti.

                                                                                              Angelo Pagano