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Notte del 20/21 dicembre 2016. Rivive a San Salvo l’ancestrale rito del Fuoco di S. Tommaso

SAN SALVO | Nella notte del 20/21 dicembre 2016, come ogni anno sarà acceso nel centro storico di San Salvo “Il Fuoco di San Tommaso” (Lu fóche de

Sande Tumuásse) un rito arcaico ripetuto da secoli, probabilmente anzi da millenni. La notte del 20/21 dicembre del 1745, provenienti dalla Basilica di San Vitale in Roma, giunsero a San Salvo le reliquie del Santo martire che sarebbe divenuto suo patrono. Si trattava di un dono del cardinale Pier Luigi Carafa, abate commendatario dell’Abbazia dei SS. Vito e Salvo del Trigno, alla piccola comunità cittadina dell’epoca. Il Piovesan ricorda che le reliquie di San Vitale (dal latino vitalis, cioè vigoroso, pieno di vita) vennero accolte in piazza dal Fuoco di San Tommaso che ardeva facendo luce e riscaldando le persone in attesa; così si è ritenuto che la tradizione del fuoco abbia avuto inizio proprio nella circostanza.

In realtà, la data del 20/21 dicembre, solstizio d’inverno, rimanda ai Saturnalia della tradizione romana e ai riti di passaggio di quella italica. Riti legati al mondo rurale per cui il sole, dopo la notte più lunga dell’anno, comincia gradualmente a rialzarsi consentendo il nuovo ciclo delle produzioni e dei raccolti, emblematicamente riassunti nella vicenda del grano che, dopo essere stato seminato e dopo aver marcito nella terra, dà vita poi allo stelo, promessa della spiga e del grano futuri. Per questo il solstizio d’inverno ha assunto valore simbolico e religioso nelle civiltà antiche, nel senso di momento di passaggio e cambiamento, di morte e insieme di rinascita, che propizia (per le piante, gli animali e gli uomini) vita e amore.

Nella valle del Trigno, i principali fuochi del solstizio d’inverno si accendono nella notte del 24/25 dicembre. Sono Le ‘Ndòcce di Agnone, Capracotta, Carovilli, Chiauci, Belmonte, Pietrabbondante e Bagnoli, Le Farchie di Montefalcone, Il Prejo di Montemitro e San Felice, La Farchia di Tufillo, Roccavivara e Salcito, il Fuoco Santo di Dogliola, Lu Fuóche de Natàle di Civitanova e Pescolanciano. Sono fuochi tuttavia legati al vecchio calendario giuliano, per cui coincidono con la festa del Natale e i precedenti culti solari del dio Mitra e di altre importanti divinità mediterranee antiche. I fuochi rituali pagani sono stati infatti “cristianizzati” dalla Chiesa cattolica, così come è avvenuto per altri riti relativi ai Santi. Per quanto riguarda il fuoco e la tradizione di San Salvo, riportiamo due testimonianze che ce lo fanno comprendere. Nel 1838, l’arciprete Ferdinando Persiani scriveva al vescovo di Chieti: “In questa chiesa, alli 21 dicembre di ciascun anno, dopo una novena, si celebra la festa della traslazione del Corpo di S. Vitale martire, principale protettore di questa Terra. E siccome si crede per tradizione e per iscrizione apposta sotto il Sacro deposito, che il nominato Sacro Corpo fosse giunto nella notte tra il 20 e il 21 Dicembre 1745, così alla metà della notte comincia il suono della campana, che dura per tre o quattro ore, e si sparano molte fucilate. Poiché le ore della notte precedente si passano dalla maggior parte in divertimenti e a mangiare, e più ancora a bere smodatamente, il suono delle campane è il segnale di uscire nella piazza e per le strade pubbliche a sparare fucilate e a girondolar per il paese. Mi pare quindi che non più si celebra con cristiana allegrezza la memoria della traslazione del Corpo del Santo Protettore, ma piuttosto le orgie di Bacco; mi pare che non si voglia onorar Dio e il suo Santo, ma il Demonio. Vi è sempre poi il pericolo che nasca altri gravi disordini in mezzo a molte persone riscaldate dal vino e armate”.

In un suo scritto, degli anni ’50 del Novecento, lo storico di Montenero di Bisaccia, Emilio Ambrogio Paterno, riferiva invece di gesti propiziatori ormai in disuso: “Oggi la tradizione [del Fuoco di San Tommaso] continua. Il gran falò brucia nelle vicinanze di piazza Municipio [attuale piazza San Vitale]. Verso l’alba, le donne vanno a raccogliere le braci e i carboni ardenti rimasti al suolo per riportare a casa la pace, la tranquillità, il benessere ritenendoli benedetti”. Se dunque i salvanesi partecipano volentieri al Fuoco di San Tommaso è perché sentono che si tratta di un evento mitico che, riannodando passato e presente, induce non solo a cercare e ritrovare se stessi ma che è anche in grado di rigenerare quella fiducia indispensabile a sostenere il difficile, a volte arduo, cammino della vita.

Giovanni Artese