San Salvo - News

Vignetta ovaòvë

Amarcord:  “Iamm’à le cengia vicchie!! Iamm’à le pisciatùre!!”

I Salvanesi,  nei tempi passati, avevano  la passione e la competenza per la cura e la coltivazione della terra, ma erano poco inclini ad aprire un’attività commerciale. La maggior parte delle famiglie aveva il suo fazzoletto di terra per la raccolta degli ortaggi.

Di soldi  ce n’erano pochi in giro. Il baratto era la modalità più frequente per scambiare le merci.  Prima del sorgere del sole, le viatichère  (i rigattieri) partivano da Vasto per San Salvo  a bordo di carretti tirati da cavalli. Trasportavano bicchieri, piatti, pentole, bottiglie, forchette, cucchiai, coltelli, scolapasta, boccali,  pignatte di terracotta e vasi da notte da barattare con i prodotti della popolazione: cenci vecchi, olio d’oliva, farina, cicerchia, fave, fagioli, ceci, vino, uova, polli. Per avvertire le famiglie della loro presenza nei vicoli (ruvàlle) alzavano il tono della voce: ”Iamm’a   le cingia vicchie; iamm’à le ‘nzalatène, iamm’à  le pisciatùre!” Allo scoccare del mezzogiorno  si riunivano  nella taverna  di zi Pitre de Ufràzie  sul lato ovest della chiesa  San Giuseppe  (lo studio tecnico  del geom. Fabrizio, tanto  per intenderci); mangiavano e bevevano vino a crepapelle, le urla si udivano ben oltre il rione. Lu  ovaòve   portava un grosso cesto di vimini  appeso al braccio, strillando :” Ova, ove! Chi vo venne l’ove! Chi te l’ove da venneeee!”. Le donne furtive, uscivano di casa  per  vendere quelle poche uova,  che  avrebbero consentito loro  di ricavarne qualche lira. Erano anni duri per le famiglie; c’era stata una guerra, c'era la povertà. Le persone si sostenevano e si aiutavano tra loro.

Michele  Molino

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