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Gualano

Ritrovato un manoscritto rimato dei primi anni del 1800  a San Salvo

Avere tra le mani un foglio sdrucito di un manoscritto in dialetto salvanese, a duecento anni di distanza,  è un’emozione che auguro a tutti di provare.  Le strofe sono facili da memorizzare: “Chirr ualàne, chirr ualàne, ca li vuve è ìhute a lu grane. Si tti vate lu patràune, ti fa scruccà lu pillicciàhune”

(Corri gualano, corri gualano, i buoi stanno brucando nei campi di grano dei proprietari confinanti.  Se ti vede il padrone, farai una fine indecorosa).  Fermiamoci un momento sul contenuto di questi  quattro versi.  Il gualano, uàlane  in lingua salvanese,  aveva diverse attività da svolgere, tra esse, cura del bestiame, rimozione del letame dalle stalle, sarchiatura delle piante orticole, trasformazione del latte,  zappatura della vigna,   aratura con diverse coppie di buoi, seminagioni  autunnali.  Per le sue  innumerevoli fatiche riceveva: cibo, utensili, qualche pantalone usato,  riposo in un vecchio granaio. Poteva  recarsi in paese, una sola volta, durante le feste natalizie. Capitava che qualche gualano non si comportasse seriamente nei confronti dei proprietari dei terreni confinanti; fingeva di dormire sotto l’ombra di un albero e lasciava andare gli animali  a brucare  la sulla (rambalupuène) e il frumento (li pechìre iàvene a dammaije),  fino a quando erano del tutto sazi. Non sempre tutto andava liscio. Se il padrone si accorgeva della presenza degli animali, si metteva puntigliosamente a cercare l’addetto al controllo, per fargli “assaggiare”  il suo bastone e obbligarlo al risarcimento del danno. L’espressione: “L’erba del vicino è più verde” era valida anche 200 anni fa.  I gualani  (figure quasi sconosciute nella cultura odierna)  erano una parte importante dell’economia agropastorale.  Il manoscritto in rima, mette in evidenza  un pezzettino della loro vita quotidiana,  che l’era della comunicazione digitale   stenta ad interpretare.

Michele Molino

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