Editoriali

Damelio premiazione

Nicola, la medaglia e le quattro cose che contano

SAN SALVO | Ai numeri 18, 20 e 22 di Via Ripalta c’è il Bar “Da Nicola”, che prendo in esame, non per ragioni amicali (che pure lo meriterebbero) e né per ragioni apologetiche

(come si potrebbe pensare), ma perché il titolare, Nicola D’ Amelio, ha ricevuto la medaglia d’oro dalla Camera del Commercio di Chieti per la fedeltà al lavoro, avendo resistito per ben 37 anni (fino ad ora…e non finisce qui) con la stessa partita iva. In Italia mantenere la stessa attività non è facile (taluni dicono che non è neanche moderno, poiché cambiare più lavori nell’arco della vita ci farebbe crescere. In realtà questa è solo la giustificazione accademica alla precarietà della globalizzazione). Non solo non è facile mantenere la stessa attività professionale, ma è quasi impossibile mantenere la stessa ragione sociale e la medesima partita iva, perché quando le cose vanno male si cambia e si riparte daccapo. A Nicola le cose sono andate bene. Non ha mai dovuto chiudere il bar. Non ha mai dovuto fittare i suoi locali. Non ha mai dovuto fare società di comodo con teste di legno. Per 37 anni 37 è stato sempre “Da Nicola”, che prima faceva le pizze, poi faceva giocare a carte e ora ha le macchinette. Questo per dire che si è, adeguato ai tempi, ma sempre nello stesso posto e con la stessa professionalità. Il bancone l’ha spostato e l’ha cambiato, ma lui c’è sempre rimasto dietro. E le serrande, le tre serrande le ha sempre alzate alla stessa ora del mattino: ore 05,00 d’estate ed ore 06,00 nelle altre stagioni. Il giorno di chiusura l’ha cambiato (prima era il mercoledì, ora è la domenica), ma lui non è mai cambiato: lavoratore indefesso, che lo spirito del lavoro l’aveva appreso dal padre Antonio, undici mesi all’estero e uno a Mafalda, dove Nicola studiava e viveva con la mamma Elena. Almeno fino al sedicesimo anno di età, allorquando è andato pure lui all’estero, dove si è fatto le ossa, ha capito quant’è dura la vita ed è tornato qui (alla fine degli anni ’70) per terminare la casa, aprire il bar e mettere su famiglia. Ovviamente la casa sta sopra al bar.

Da allora, da quando è tornato dalla Germania, Nicola fa il barista e lo fa dalle prime ore dell’alba alla sera (in estate abbassa le serrande quasi a mezzanotte), con un giorno di pausa settimanale (pure Nostro Signore un giorno si è riposato) e con una quindicina di giorni di ferie all’anno. Lo fa con serietà, perché crede in poche, ma ferme cose: la famiglia, l’amicizia, l’ Inter ed il lavoro, che non sono solo fatti sociali, ma per lui veri e propri valori, tanto che sono rappresentate come icone proprio nel bar a Ripalta: la famiglia è li con lui, lo aiuta e lo rappresenta se si assenta per andare in banca o a prendere le sigarette. L’amicizia siamo noi avventori: alcuni di quelli del suo paese o provenienti da paesi vicini al suo sono immortalati in una foto dietro al banco: Nicola Gizzi, Alfonso Izzi, Claudio Birra ed io stesso. L’Inter è iconograficamente rappresentata da cimeli nerazzurri sparsi per tutto il locale. Il lavoro, impersonato fisicamente da lui medesimo, ora ha il timbro ufficiale dello Stato, che, per il tramite della Camera di commercio, gli ha dato una medaglia, che a breve farà compagnia agli altri simboli valoriali sopra descritti.

Sempre a proposito di simbologie nel vissuto personale del nostro, cosa rappresentano i valori cui egli crede ovvero la famiglia, l’ amicizia, l’ Inter ed il lavoro ? Se per la sua squadra del cuore si intende lo sport come momento di distrazione, di dialogo poco impegnativo con chi coltiva la stessa passione, insomma di divertimento, avremmo che Nicola crede alla famiglia, agli amici, al divertimento ed al lavoro. Li concilia bene tutti, avendoli tutti inseriti nela cornice lavorativa, poiché nel suo posto di lavoro (il bar) ha sempre accanto la famiglia, molto spesso gli amici, nelle partite della tv l’ Inter. Tutto dunque è ben miscelato e fondato sul lavoro, che gli ha consentito di essere quello che è: Nicola il barista, rispettato perché instancabile, conosciuto perché gioviale, frequentato perché serio (10 centesimi li vuole, ma se non te li riprendi quando ti tocca, ti chiama e te lo dice). E quella medaglia racconta che ora, per fortuna, di lui (e di tanti altri instancabili lavoratori) se ne è accorto anche la nostra Repubblica, fondata proprio sul lavoro.

Ods