Editoriali

PARTITI ALL

Le liste un tanto al chilo

SAN SALVO  | Quando i partiti erano una cosa seria, se ne presentavano (almeno da noi) due, al massimo tre: Dc, Pci e Psi. La prima lista civica fu la Torre di Santino Del Casale, che si presentò all’inizio degli anni ’70 ed aggregava

i dissidenti di un partito. Bisognerà aspettare altri quindici anni per vederne un’ altra: il Ramoscello di Rinaldo Altieri, sempre composta di dissidenti della Dc. Anche agli albori della seconda repubblica le liste che si presentarono erano espressione autentica dei partiti o di loro dissidenti o di un territorio (nel ’94 San Salvo Marina promosse Forum) o di una categoria (nel 2007 un gruppo di giovani di centrodestra promosse una lista di soli giovani. In quello stesso anno una lista di dissidenti di An riuscì ad entrare in Consiglio comunale). Nelle ultime due elezioni, invece, sono nate o stanno nascendo liste senza senso, che non sono espressioni di nulla: né di un partito, né di un territorio, né di una categoria e men che meno di una personalità. In pratica, per dimostrare che il candidato a sindaco (legittimamente scelto da un partito o da una coalizione civica o politica) non è isolato ed ha consenso, si decide a tavolino che lo appoggiano tre liste. Quindi ci si mette alla ricerca di candidati e si finisce con risultati che fanno riflettere. Prendiamo il caso di una lista presentata la volta precedente. Dei sedici candidati, ben nove (oltre la metà) hanno preso meno di 10 voti di preferenza, due hanno preso da 10 a 20 voti e due da 20 a 30 voti. I tre più votati hanno preso: uno 30 voti, un altro 40 ed un altro 59. Il più votato di questa lista coi suoi 59 voti si colloca in una media (che poi diremo), con cui, se candidato in un’ altra delle liste di coalizione, in caso di vittoria, avrebbe potuto anche aspirare ad entrare in Consiglio. Si tenga conto che sono in carica oggi consiglieri che avevano avuto una sessantina di voti di preferenza, candidati, però, in una lista vincente i cui assessori si erano dovuti dimettere. La domanda sorge spontanea: uno che prende 59 voti perché sacrificarlo in una lista che complessivamente ne prende 259, tanti quanti ne prende un candidato forte ?. Si capirebbe se simile lista fosse espressione di un partito o di una tradizione che non si vuole far morire. Ma perché fare una lista tanto per farla ? Perché coinvolgere nove candidati con meno di 10 voti a testa, sacrificandoli per dimostrare che non si è isolati ? A chi pensasse che più liste si presentano e più si ha la possibilità di vincere, si può rispondere con il paradigmatico caso delle 5 Stelle, che vincono con una sola lista, come accaduto a Roma. Beninteso, il caso è diverso laddove si voglia salvaguardare una tradizione. Per esempio, l’ultima volta anche la lista del Psi ha avuto sette candidati da meno di 10 voti e 2 da meno di 20, ma fu presentata per salvaguardare una tradizione, come pure Sel che ebbe cinque candidati da meno di 10 voti, di cui tre che non presero manco un voto. Per dimostrare, tuttavia, che non si tratta di un ragionamento fatto solo da una parte politica, offriamo i seguenti dati ricavati dalla lettura dei risultati delle ultime comunali.

Si presentarono 5 candidati alla carica di sindaco (Travaglini, Mariotti, Di Stefano, Sabatini e Magnacca). Due di essi furono sostenuti da una sola lista (Travaglini e Sabatini), uno da quattro liste (Di Stefano) e due da 3 liste a testa (Mariotti e Magnacca), per un totale di 12 liste, che produssero 192 candidati per il Consiglio. Dei quali: uno solo superò i 400 voti (Argirò), tre superarono i 300 (Spadano, Marchese, Marcello), due andarono oltre i 200 (Sannino e Lippis)  e 22 candidati presero da 100 a 197. Tutti gli altri, ossia ben 164 candidati, presero da 0 a 100 voti. E’ chiaro che anche chi rientra in quest’ultima fascia ha diritto di ambire ad essere eletto, come è accaduto a quattro candidati del Pdl (Fernando Artese, Stefano Battista, Vincenzo Larcinese e Rino Maiale). Va detto però che 4 su 26 (tra consiglieri, assessori e dimissionari per ragioni di salute) possono considerarsi quasi delle eccezioni. E allora che fare ? Limitare l’elettorato attivo solo a chi ha più di 100 voti ? No, sarebbe antidemocratico. E’ giusto che chi vuole partecipi alle elezioni per dare un contributo di idee e passione alla propria città. Ma sbagliano quei furbacchioni dei politici, che, pur dimostrare di avere consenso, presentano liste espressioni del nulla e piene di candidati riempitivi. E che sia così lo racconta la matematica: l’ultima volta i candidati con meno di 20 voti furono più di 60: 3 nell’ Udc, 1 nel Pd, 4 ai Democratici, 11 a Città Unità, 8 nel Psi, 7 a Italia dei valori, 1 a Ssd, 3 in Sel, 10 in 5 Stelle, 7 a Lista Popolare, 2 al Pdl, 1 a Città nuova, senza contare che 6 candidati presero 0 voti. Se tutti costoro non si fossero candidati avremmo avuto sette liste e non dodici. Sette liste reali e non dodici di un tanto al chilo. La politica che fa queste forzature si scredita, non è più una cosa seria e poi, alla lunga, fa vincere il populismo demagogico.

Ods

Ps La suesposta analisi è stata fatta col contributo di Nicola Sannino, che ci aveva segnalato alcune “incongruenze matematiche” nelle liste elettorali. Lo ringrazio.