Editoriali

bambina va a scuola

Riuscirà la scuola?....

La collega Rosaria Spagnuolo, in un suo articolo, inquadra la scuola liquida nell' ambito della società liquida e lo fa utilizzando alcuni paradigmi (o autori) che si sono occupati di sistemi e sottosistemi. Chiude il suo contributo con una domanda, che dovrebbero farsi

tutti gli attori sociali, della scuola o della società stessa, che vogliano per davvero essere o sentirsi protagonisti nel sistema Italia o nel sottosistema Scuola italiana. La chiosa finale della Spagnuolo è, sinteticamente, "riuscirà la scuola a trovare nuove percorsi per affrontare nuove sfide?" Personalmente, avvalendomi di ciò che conosco delle due realtà, rispondo come segue, non senza rifare un breve inquadramento contestuale, che mi consente di arrivare alla risposta.

******

La società liquida ha come punti di debolezza l’evolversi frettoloso delle relazioni interpersonali, professionali, di appartenenza ai gruppi politici ed ideologici ed anche affettive nella coppia. Ha come punti di forza l’alto livello scientifico, culturale, di conoscenze raggiunti in ogni campo e la diffusione capillare delle tecnologie, che hanno reso il mondo un villaggio globale, con la democrazia (liquida anch’essa, ma comunque democrazia) che, nella storia dell’uomo, non ha mai raggiunto questi livelli. Per questo, nel bene e nel male, il mondo continua ad affrontare le sue sfide.

La scuola, che peraltro è un sottosistema sociale, ha anche punti di debolezza specifici: l’attenzione eccessiva delle famiglie per i figli che la frequentano e che genera uno sconfinamento nella didattica, cosa che non di rado imbarazza i docenti, facendo sentire loro quel “fiato sul collo” che cozza con la necessaria “libertà di insegnamento”. A questo, almeno in Italia, vanno aggiunte le continue riforme e controriforme, che ad ogni cambio di ministro si alternano, mandando in fibrillazione le comunità educanti, schiacciate, peraltro, dal peso di eccessivi vincoli normativi. I punti di forza della scuola sono, invece, almeno a giudizio (modesto) di chi scrive: un capitale sociale ancora buono, la trasversalità e la capillarità di persone e mezzi, l’affettività che genera l’azione sociale degli educatori, perché “agiscono” sui piccoli ed una leadership interna sostanzialmente basata sul carisma e la passione di chi “tira il carro”.

A fronte di questo quadro, la scuola può non riuscire a trovare nuovi percorsi. Ma forse non ne ha bisogno per affrontare nuove sfide, perché le affronta quotidianamente e non può non affrontarle. Ogni mattina oltre un milione di lavoratori della scuola (tra docenti e non docenti) accolgono ed educano circa otto milioni di studenti, accompagnati da altrettanti genitori. Ciò origina un senso di responsabilità, che non è oggettivamente uguale a quello che si riscontra in altri settori lavorativi. Non che lavorare a scuola comporti dinamiche aziendali diverse da quelle delle Pubblica amministrazione o di altri posti di lavori: meccanismi legati alle ferie, alle carriere, alle invidie ed alle relazioni di colleganza, all’autostima o alla frustrazione per ciò che si produce o per come ci si proietta all’esterno sono pressoché uguali a quelli delle altre aziende. Ma, al netto di chi decide o meno di fare il gregario e di vivere con disagio il suo lavoro, l’organismo sociale rappresentato dalla scuola si attrezza per la sopravvivenza nella società liquida con un valore aggiunto: il senso di responsabilità, diverso e più elevato rispetto alla stragrande maggioranza dei lavoratori. Per rispondere alla domanda di Rosaria Spagnuolo, semplifico ulteriormente: se piloti, autisti di autobus, medici, militari, giudici, insomma persone da cui dipendono le sorti di altre persone devono avere un livello di tensione emotiva sopra la media, ancor più devono averlo le persone dalla cui azione dipendono le sorti dei bambini, dei ragazzi e dei giovani. E’ questa tensione che consente alla scuola di superare le sue sfide, vecchie e nuove, quotidiane e difficili.

                                                                                                                              Orazio Di Stefano

©RIPRODUZIONE RISERVATA