Editoriali

trump renzi dalfonso magnacca

L’ anno che sta arrivando fra …passerà

Aveva ragione Lucio Dalla: l’anno che sta arrivando fra un anno passerà. Ma come sarà il nuovo anno che fra un anno passerà ? Sarà senz’altro l’esito, la conseguenza, il frutto,

la derivazione degli anni che lo hanno preceduto. Per quanto, con vecchi stereotipi, siamo portati a pensare che basti girare l’ultima pagina del vecchio calendario e sostituirla con una nuova di zecca per “iniziare un nuovo inizio”, la realtà è totalmente diversa: ciò che accadrà dal 1° gennaio e fino al 31 dicembre dell’anno prossimo dipende sostanzialmente da ciò che è appena accaduto. Quindi esaminando ciò che è appena accaduto possiamo immaginare ciò che ci aspetta, sia pure con margini di incertezza (le variabili) e con propositi ottimistici (gli auguri). Abituato a “leggere” casa mia, partendo dal mondo e passando per l’ Italia e l’ Abruzzo, ricordo che…

Gli Stati Uniti d’ America hanno appena eletto un miliardario populista, che – con ricette poco condivisibili – non viene dal nulla. E’ il risultato di politiche deludenti della sua controparte: una sinistra americana fattasi establishment o che, in ogni caso, ha dato l’immagine di essere tale, in un momento in cui la globalizzazione eleva (giustamente) i livelli di vita di alcuni Paesi, ma in danno di altri, le cui classi più deboli perdono protezione economica e sociale, godute dal secondo dopoguerra fino a qualche anno fa. Lo stesso più o meno può dirsi per la Francia e le socialdemocrazie avanzate, in cui l’euro ha impoverito i popoli, anche se con le vecchie e deboli valute forse sarebbero stati ancora più poveri.

L’ Italia ha appena dato un durissimo colpo (forse mortale) al renzismo, ovvero ad una proposta creola, in cui c’è dentro di tutto: dal vituperato decisionismo craxiano ai racconti berlusconiani (“Con noi l’Italia torna a crescere”), dagli agganci massonici a progressisti veri, che fanno diligentemente il proprio lavoro nella aule parlamentari o nelle stanze del Governo, dai decreti leggi spregiudicati in favore delle banche a “cazzate” come il dichiarare da parte di un ministro dell’ Università di essere laureata senza essere nemmeno diplomata. Ma anche nel 60% che ha votato contro Renzi più che contro la sua proposta di Grande Riforma c’è un mix altrettanto variegato di delusione e voglia di pulizia, di vendette e giuste rivendicazioni dei giovani chiedenti futuro.

In Abruzzo tre consiglieri regionali dissidenti (due assessori e un presidente di commissione) hanno appena sottoscritto un documento politico per mandare avanti la legislatura regionale, secondo l’eterno refrain del “Chi si ribella, comanda”, dimostrando come una plebiscitaria elezione diretta non dà autorevolezza neanche ad un presidentissimo come Luciano D’ Alfonso, costretto a patteggiare. Cosa accomuna Trump, Renzi e D’ Alfonso ?

Trump (a meno che non voglia usare i tanti generali con cui va componendo il suo gabinetto presidenziale) dovrà scendere a patti con lo stesso establishment che ha appena sconfitto, facendo sì politiche di destra, ma senza poter fare ciò che ha raccontato in campagna elettorale.

Renzi, per aver tentato di fare il galletto, si è beccato uno schiaffo sul muso che metà ci bastava e che fa il paio col Berlusconi costretto, dopo la plebiscitaria vittoria del 2008, a votare il Governo che lo aveva defenestrato, “scaricato” anzitutto dai cento deputati di quel Fini (venditore di un appartamento del partito al cognato, alla cui sorella sarebbero poi finiti i soldi).

D’ Alfonso cede al “nostro” Olivieri che diventa “responsabile della sua zona”, ma che riceve schiaffi in faccia da un tale Flacco, tanto potente da trattare i consiglieri regionali come suoi dipendenti, senza aver ancora compreso che è invece lui il dipendente di costoro. E’ chiaro che fino a che il buon Mario non vincerà su un “suo dipendente”, il cedimento del governatore sarà stato solo di facciata (per l’approvazione del bilancio). Tuttavia, anche se solo di facciata, D’ Alfonso ha dovuto scendere a patti con Olivieri.

Ciò significa che i tre presidenti sopra menzionati sono uniti (nel caso di Trump si vedrà in futuro) dal dover prendere accordi, patteggiare, sintetizzare, discutere e dialogare: chi fa il galletto poi è costretto a rimangiarsi tutto. Il punto è che nella società dei twitter i leader si credono padreterni e, quindi, sono destinati a prendere schiaffi sul muso, perché i votanti più che le chiacchiere vogliono i fatti: la povera gente più che le favole vuole posti di lavoro per i figli.

Veniamo ora a casa nostra, dove abbiamo avuto un sindaco, che ha comandato molto, moltissimo (forse anche di più dell’ onorevole Artese e l’ omonimo Giovanni potrebbe confermarlo…non come assessore, ma come storico). Però il nostro sindaco ha saputo mostrarsi umile e democratica, presentando un’ immagine che è il contrario del suo leader (Berlusconi) e che le ha evitato le figuracce alla D’ Alfonso. Mi spiego meglio: se il governatore ha dovuto firmare questo documento per recuperare i consiglieri Di Matteo-Gerosolimo-Olivieri, la Magnacca è stata brava a non firmare nulla di simile, pur essendo stata costretta a recuperare i consiglieri Maiale-Artese-Raspa. In conclusione: nelle società complesse i leader (a meno che non siano dittatori) devono scendere a patti (come hanno fatto D’ Alfonso e la Magnacca) altrimenti le buscano (come è capitato a Berlusconi e Renzi). Ma il segreto è saper scendere a patti, senza fare figuracce, cosa che la Magnacca ha saputo fare. L’augurio è che la sua controparte sappia fare altrettanto, perché l’anno che sta arrivando fra 5 passerà…

Ods

Categoria: