Editoriali

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Fresa ricorda i caduti civili dell'ultima guerra

FRESAGRANDINARIA | Il 2 e il 3 novembre del 1943 i bombardamenti aree delle forze alleate per conquistare le postazioni occupate dai tedeschi, con le rappresaglie

di questi ultimi, causarono 120 morti a Cupello, 22 a Celenza, 20 a Tufillo, 8 a Fresagrandinaria, 4 a Dogliola e 4 a San Salvo. In totale morirono 178 persone in questi Comuni, che per gli eserciti impegnati nello sfondamento o nella difesa del fronte che divise l’Italia in due erano solo delle postazioni militari. Purtroppo coloro che ci rimisero la pelle in quelle “originali” postazioni erano delle persone, delle persone normali: vittime civili si direbbe oggi. Erano persone che stavano a casa o attendendo agli affari domestici, per usare un linguaggio militare. A Fresagrandinaria di otto persone, otto civili morti, tre erano dello stesso nucleo famigliare. A Fresagrandinaria morirono: Giuseppa Capriccioni, Grazia Capuzzi, Teresina D’ Addario, Casimiro Fizzani, Antonio e Vincenzo Floritti, Giulietta Granata e Teresina Ottaviano. Nomi di persone semplici e normali, che non portavano la divisa, ma che stavano facendo la più normale (ed indispensabile) delle attività domestiche del tempo: andavano per acqua a Fontanova. Allora l’acqua da bere non si trovava al Conad che manco c’era e l’acqua per lavarsi non usciva dai rubinetti, che manco c’erano. Allora l’acqua si prendeva alla fontana, dove cinque degli otto morti vennero ammazzati…dalle bombe aeree dice lo storico, dalle mitragliate lo corregge la figlia di Grazia Capuzzi, tornata apposta da Roma nel luogo natio. A Fresagrandinaria è arrivato il momento di aprire il sipario, di levare l’oblio in cui sono finite per settantatre anni otto normali persone, morte perché si trovavano nel loro paese, per un frangente diventato postazione militare. Non che gli altri morti bombardati o mitragliati al fronte valessero più di questi. Erano i mariti o i fratelli o i figli dei civili restati a casa e finiti anch’essi ammazzati, in alcuni casi. Erano figli di povera gente pure quelli che portavano la divisa. Ma quella divisa, quell’appartenenza alle forze armate regolari o partigiane, ha fatto in modo che la storia ufficiale li onorasse con canti, monumenti, medaglie e cerimonie pubbliche. I morti caduti con i vestiti normali, da campagna o da lavoro o col grembiule di casa, invece, sono stati pianti dai propri famigliari e basta, perché né la storiografia ufficiale, né quella conservata nella memoria collettiva si è mai ricordata di loro.

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A Fresagrandinaria oggi il Comune e l’ Associazione culturale fresana hanno dato una scossa ad una sorta di rimozione collettiva e tolto l’oblio storico sui quei caduti, invitando i famigliari delle vittime ad una cerimonia pubblica alla presenza delle autorità civili, religiose e militari e dei bambini delle scuole. Dopo il saluto del sindaco Giovanni Di Stefano e della Dirigente scolastica Anna Orsatti, hanno parlato tre storici locali: Giovanni Artese, Domenicangelo Litterio ed Ernano Marcovecchio. Quindi il toccante racconto dei bambini dell’epoca ed alla fine la consegna delle pergamene e lo scoprimento di un monumento in pietra scolpito da Ettore Altieri, coi nomi delle otto vittime, posizionato proprio dove c’era la fontanova. Ovvero dove arrivarono le bombe o i proiettili delle mitraglie in quel giorno di settantatre anni fa, rimasto per troppo tempo sopito ed ora finalmente riportato alla luce e destinato a diventare un compito di realtà per i ragazzi delle scuole, cui far capire che la guerra non si deve fare. E meno male che noi italiani negli ultimi settant’ anni la guerra non l’abbiamo più fatta.

Orazio Di Stefano

 

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