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Nuovo cardiochirurgo all'ospedale di Chieti. Ha 43 anni e arriva da Bristol

Scritto da Sansalvomare

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Nuovo cardiochirurgo all'ospedale di Chieti. Ha 43 anni e arriva da Bristol

Arriva da Bristol il nuovo cardiochirurgo chiamato dall’Università “D’Annunzio” che prenderà servizio all’ospedale di Chieti il prossimo 2 maggio. Umberto Benedetto, 42 anni, di origini lucane, è pronto a rientrare in Italia dopo una lunga esperienza all’estero, prima a Cambridge, poi Londra e Oxford infine dal 2015 a Bristol, dove è professore all’Università e Primario della Cardiochirurgia. 

La notizia è stata ufficializzata oggi a margine della riunione della Commissione paritetica Asl-Università durante la quale i vertici dell’Azienda sanitaria hanno preso atto della chiamata in Ateneo di Benedetto, che sarà quindi convenzionato per la presa di servizio. L’unità operativa di Cardiochirurgia, com’è noto, è a conduzione universitaria.
Una carriera tutta maturata all’estero, quella del cardiochirurgo, che dopo la laurea e il dottorato all’Università La Sapienza di Roma si è trasferito nel Regno Unito partendo da Cambridge e Londra, dove ha maturato esperienza anche in ambito di trapianti e impianti di cuore artificiale, per poi ricoprire il ruolo di Primario della Cardiochirurgia prima ad Oxford e infine a Bristol come Professore di Cardiochirurgia. 
L’incarico che ricopre a Bristol, dunque, è solo l’ultimo di un percorso che lo ha portato a essere conosciuto a livello internazionale grazie anche al contributo offerto alla stesura delle linee guida per la Cardiochirurgia dell’omonima Società Europea e Americana. 
E’ stato premiato per l’eccellenza clinica per l’altissima percentuale di sopravvivenza dei pazienti trattati, pari al 99%. La massima sicurezza del programma chirurgico è un must per Benedetto, che si occupa della patologie gravissime dell’aorta, e interviene sulla valvola aortica e mitrale anche con accesso mini invasivo. Ha prodotto una delle casistica più numerose in Europa della tecnica di sostituzione delle valvole con materiale autologo, utilizzando, cioè, tessuto prelevato dal paziente anziché la tradizionale protesi, procedura all’avanguardia che lo vede tra i pionieri nel nostro continente.
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