San Salvo - News

Andrea Del Villano 1953

I CAPOMASTRI DI SAN SALVO CON I LAPIS ROSSI E CAPPELLI DI CARTA

La nostra città è orgogliosa di aver avuto tra gli anni ’30 e ’50 mastri-muratori di incredibile bravura. Non sapevano né leggere né scrivere, ma erano veloci nel calcolo mentale, rapidi nella “lettura” dei disegni planimetrici, inimitabili nella tecnica costruttiva, eccezionali nella lavorazione dei blocchi di pietra.

Si distinguevano dagli altri gruppi professionali per l’abbigliamento da lavoro: camicie di fustagno a quadri, maniche arrotolate fino ai gomiti, cappelli fatti con la carta dei sacchi di cemento, lapis rosso dietro l’orecchio e metro pieghevole nella tasca posteriore dei calzoni di tela grezza. Lavoravano come bestie dall’alba al tramonto, con le mani scheggiate dalla calce viva e dagli spigoli taglienti delle pietre. Per disinfettare le ferite usavano la propria urina. Prima di diventare (mastri) dovevano fare una lunga gavetta come manovale (mannebbile). Davanti ad una buona bottiglia di vino rosso non si facevano tirare troppo per la giacchetta. Il 19 gennaio, vigilia della festa di San Sebastiano, si univano in gruppo per inneggiare con canti il loro patrono. Erano capaci di inventare strofette: Puzza cascà da na scàle di sissànda pìre, ma vulèss ca la mia bbell m’ ariccùiess; i cantori, per rinfrescarsi l'ugola, svuotavano grandi bicchieri traboccanti di vino rosso corposo. Quando interloquivano tra loro, usavano un linguaggio strano e incomprensibile. Questi i capomastri che si sono maggiormente distinti in quegli anni: maste Antonio Del Villano, maste Virgilio Di Pierro, maste Paolo Malatesta, maste Espedito Malatesta, maste Ferdinando Malatesta, maste Roberto Della Penna, maste Antonio De Filippis, maste Nicola De Filippis, maste Umberto De Filippis e maste Giovanni Miscione (chiediamo scusa se abbiamo dimenticato qualcuno). Oggi, i giovani muratori, non amano più le tradizioni; manca quella visione religiosa della vita in cui avevano creduto i loro antenati.

Michele Molino

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